DANTE ALIGHIERI

 Inferno, Canto III (100-117)

…Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,

cangiar colore e dibattìeno i denti,

ratto che ‘nteser le parole crude:

bestemmiavano Dio e lor parenti,

l‘umana spezie e ‘l luogo e ‘l tempo e ‘l seme

di lor semenza e di lor nascimenti.

Poi si ritrasser tutte quante insieme,

forte piangendo, alla riva malvagia

ch’attende ciascun uomo che Dio non teme.

Caron dimonio, con occhi di bragia,

loro accennando, tutti li raccoglie;

batte col remo qualunque s’adagia.

Come d’autunno si levan le foglie

l’una appresso all’altra, fin che ‘l ramo

vede alla terra tutte le sue spoglie,

similmente il mal seme d’Adamo

gittansi di quel lito ad una ad una

per cenni come augel per suo richiamo…

 

PURGATORIO, CANTO XXX (28-39)

…così dentro una nuvola di fiori

che da le mani angeliche saliva

e ricadeva in giù dentro e di fori,

sovra candido vel cinta d’uliva

donna m’apparve, sotto verde manto

vestita di color di fiamma viva.

E lo spirito mio, che già cotanto

tempo era stato che a la sua presenza

non era di stupor, tremando, affranto,

sanza de li occhi aver più conoscenza,

per occulta virtù che da lei mosse,

d’antico amor sentì la gran potenza…

 

PARADISO, CANTO XXXIII (97-123)

…Così la mente mia, tutta sospesa,

mirava fissa, immobile e attenta,

e sempre di mirar facìesi accesa.

A quella luce cotal sì diventa,

che volgersi da lei per altro aspetto

è impossibil che mai si consenta;

però che ‘l ben, ch’è del voler obietto,

tutto s’accoglie in lei, e fuor di quello

è defettivo ciò ch’è lì perfetto.

Ormai sarà più corta mia favella,

pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante

che bagni ancor la lingua alla mammella.

Non perché più ch’un semplice sembiante

fosse nel vivo lume ch’io mirava,

che tal è sempre qual s’era davante;

ma per la vista che s’avvalorava

in me guardando, una sola parvenza,

mutandom’io, a me si travagliava.

Nella profonda e chiara sussistenza

dell’alto lume parvermi tre giri

di tre colori e d’una contenenza;

e l’un dall’altro come iri da iri

parea reflesso, e ‘l terzo parea foco

che quinci e quindi igualmente si spiri.

Oh quanto è corto il dire e come fioco

al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,

è tanto, che non basta a dicer ‘poco’…  

Biografia del poeta


Dante (Firenze, tra il 22 maggio e il 13 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321)

E' conosciuto universalmente come ‘il Sommo Poeta’.

Della sua ricca produzione (Le Rime, Vita Nova, Convivio, De vulgari eloquentia, De Monarchia) il poema la Commedia, poi denominato dal Boccaccio la Divina Commedia, è ritenuto da molti il più grande capolavoro della letteratura di tutti i tempi e può essere considerato la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale. Scritto tra il 1300 ed il 1321in volgare fiorentino, il poema è diviso in tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ciascuno formato da 33 canti (tranne l’Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da proemio all’intero poema); ogni canto si compone di terzine di endecasillabi. La Divina Commedia tende ad una rappresentazione ampia e drammatica della realtà intrisa di una spiritualità cristiana nuova che si mescola alla passione politica e agli interessi letterari del poeta. Si narra di un viaggio immaginario nei tre regni dell’aldilà, nei quali si proiettano il bene e il male del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale ‘simbolo’ dell’umanità, sotto la guida della ragione e della fede. Il percorso tortuoso ed arduo di Dante, il cui linguaggio diventa sempre più complesso quanto più egli sale verso il Paradiso, rappresenta, sotto metafora, anche il difficile processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai confini angusti entro i quali lo aveva rinchiuso il pregiudizio scolastico medievale. Dante è accompagnato sia nell’Inferno che nel Purgatorio dal suo maestro Virgilio; in Paradiso da Beatrice e da San Bernardo.

ARCANGELO MOLES

Su un asse centrale che attraversa i tre gradini sono poste le figure principali dei passi scelti delle tre cantiche. Coerentemente con l’ascesa di Dante nel suo viaggio dall’Inferno al Paradiso, sul gradino inferiore è rappresentato il volto mostruoso di Caronte con sopracciglia/corna e due braccia che nascono dagli occhi. Con la mano destra agguanta un dannato da una barca e con quella sinistra ne depone un altro su una collina rappresentante l’Inferno.

Sul gradino intermedio il volto di Beatrice -con l’occhio destro in forma di triangolo (simbolo della divinità) e quello sinistro in forma di 8 capovolto (simbolo dell’infinito perché nel medioevo cristiano l’otto segue il sette che rappresenta la perfezione)- è posto tra due fiori entro i quali si mimetizzano 8 anime di purganti distese a terra, mano nella mano, a formare un cerchio/ottagono (simboli del sentimento e della ragione); le anime di sinistra (nere), attraverso la mediazione di Beatrice, si redimono a destra assumendo un corpo bianco.

Sul gradino superiore, su un fondo chiaro di luce paradisiaca, il triangolo divino della fiamma (Padre, Figlio e Spirito Santo) che nasce attraverso l’intersezione luminosa delle tre figure (come iri da iri parea reflesso, e ‘l terzo parea foco).

biografia dell'artista

Arcangelo Moles (Potenza,1954-2020)


Nel 1977 studia all’Accademia di Belle Arti di Roma nei corsi di Franco Gentilini 

ed incisione calcografica di Ciarrocchi e Barriviera. 

Nel 1978 ha frequentato a Bologna il corso di calcografia del maestro Mario Leone.

Ha fatto parte del Collettivo ‘Quinta generazione’, editore della rivista d’arte ‘Perimetro’ che negli anni ’80 determinò sinergie intellettuali contribuendo a registrare e vitalizzare dibattiti culturali in ambito nazionale. Ha curato come grafico numerosissimi progetti come estensione ed interazione tra parola visiva ed immagine. Ha progettato e allestito oltre trenta scenografie, spesso monumentali, in differenti musei e le scenografie per RAI TG3, per l’APT Basilicata e per la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata..

Ha partecipato a numerose esposizioni personali e collettive in Italia  e all’estero e, nel 2011, al ‘Padiglione Italia’ della Biennale di Venezia a cura di Vittorio Sgarbi.